Avevamo le idee chiare Paoletta e io sabato 26 dicembre 1987. Dovevamo trovarci alle 9 davanti all’Ospedale e dirigerci insieme verso un cascinale sulla statale per Asti, tra Casale e Moncalvo. Là ci aspettava una paziente anziana, allettata e sofferente. Era la prima visita che facevamo al suo domicilio ed era piuttosto urgente.
La signora infatti stava molto male, ma non voleva farsi ricoverare. Il suo medico di famiglia ci aveva contattate. Quindi idee chiare.
1) portare il materiale sanitario necessario
2) valutare bene il caso
3) adoperarsi per alleviare la sofferenza e soddisfare il bisogno di rimanere nella propria casa.
Era un’uscita non programmata, decisa all’improvviso il giorno precedente, la sera di Natale. Paoletta e io non avevamo avuto dubbi. I nostri famigliari erano stati un po’ meno contenti di noi di questa decisione. “Anche a S.Stefano! Ma non ci sono altri servizi preposti a questo compito? Siete volontarie, non siete mica obbligate!” La spiegazione sarebbe stata, come al solito, complessa e piena di “ma” e di “però”. Nella tacita intesa tra noi due, le risposte a queste fastidiose domande dovevano essere le più brevi ed evasive possibile. Tanto la decisione noi l’avevamo presa e finiva lì. Idee chiare! l tempo era grigio, anzi minaccioso. Il nevischio cominciava a fermarsi sui vetri dell’auto, la nostra Panda un po’ scassata non aveva gomme da neve. Ma tutto era sempre andato bene. E noi avevamo una missione da compiere molto più importante delle condizioni meteorologiche.
VITAS era nata a fine dicembre 1986 con un unico medico e 2 infermieri pieni di buona volontà, Paoletta e Stefano. Lo scopo dell’Associazione era quello di assistere al domicilio le persone affette da malattie inguaribili e in evoluzione, alleviando sofferenze fisiche e dando la possibilità a chi lo desiderava di trascorrere al domicilio, con l’aiuto di personale esperto e formato, il tempo che rimaneva. La nascita di VITAS derivava dalla coincidenza di alcuni fattori: i bisogni crescenti che i pazienti manifestavano nell’Unità di Oncologia dove lavoravo, alcune mie esperienze personali e la comparsa della neodisciplina di Medicina Palliativa, che cominciava allora a prendere piede nel mondo sanitario italiano. Di questo parlavamo Paoletta ed io mentre sulla Panda uscivamo da Casale e ci dirigevamo, con un cielo sempre più grigio, verso Moncalvo. Le raccontavo di come soprattutto i pazienti di mesotelioma erano stati alla base di molte mie riflessioni che erano infine culminate con la nascita di VITAS. Sapevo da molti anni che questo era un tumore “diverso” dagli altri. Conoscevo quanto pesante fosse la sintomatologia fisica che procurava, e quanto intensamente dolorose fossero le reazioni emotive che suscitava nella persona malata e nei suoi famigliari. Paura, rabbia, disperazione, angoscia, presenti in tante forme neoplastiche, nei casi di mesotelioma diventavano esplosive. Troppo forte l’impatto della malattia con la soggettivitàdella persona, con la dinamica famigliare, con la comunità. Era un tumore “inaccettabile” perchè tutti sapevamo che si sarebbe potuto evitare, perchè non esistevano terapie efficaci, perchè molti si sentivano soli e abbandonati al loro destino. Sempre più frequentemente noi oncologi venivamo chiamati in Pronto Soccorso per consulenze a malati che accedevano alla struttura per dolore intenso all’emitorace, per mancanza di respiro, per ansia e astenia grave. Ci rendevamo conto che spesso bastava una rassicurazione verbale, una piccola modificazione terapeutica, una visita attenta per tranquillizzarli e permettere di tornare al domicilio più sereni. Erano bisogni emergenti che andavano affrontati con risposte adeguate e innovative. Era necessario prevenire questi traumatici accessi in Pronto Soccorso, magari in ambulanza, con ore di attesa del proprio turno prima di essere valutati dal medico di turno e dall’oncologo reperibile. Era necessario “portare a casa gli specialisti”, portarli al domicilio dei pazienti, per alleviare la sofferenza fisica, e supportare quella spirituale. Possiamo affermare che VITAS è nata innazitutto da lì, dall’aver preso coscienza che era tempo di andare oltre l’esistente e progettare risposte più efficaci per i malati di mesotelioma in particolare, ma in generale per tutti i pazienti oncologici con problematiche di criticità affrontabili al proprio domicilio. L’idea di una èquipe dedicata con figure multiprofessionali in grado di agire muldisciplinariamente in collaborazione con i medici di famiglia mi frullava per il capo da diversi mesi, quando mi si presentò un caso clinico che diede inizio concreto al processo di costruzione di un percorso molto lungo e articolato, giunto fino ai giorni nostri. Di questo si parlava con Paoletta mentre il nevischio diventava decisamente neve, che si depositava sull’asfalto lasciando uno strato bianco e consistente che aumentava di spessore con velocità sorprendente. A un certo punto le parole rallentarono, perchè divennero preponderanti la preoccupazione di trovare la strada giusta per raggiungere la nostra paziente e quella di mantenere la stabilità su strada di una auto con molti problemi. In pochi minuti fummo sommerse da una vera e propria tempesta di neve. Non si vedeva quasi più nulla attraverso il frenetico movimento dei tergicristalli, incapaci di reggere l’impatto con l’intensità di caduta dei fiocchi compatti e bianchissimi. Poche auto arrancavano nel nostro senso di marcia o in quello opposto. Sapevamo di essere arrivate più o meno nel punto in cui avremmo dovuto girare a sinistra per una stradina semisterrata che portava a alla casa della persona malata. Ma a stento eravamo in grado di vedere la strada davanti a noi. Procedevamo a passo d’uomo. Eravamo in ritardo. Paoletta provò a telefonare al numero fisso che avevamo a disposizione, senza risposta. E questo aumentò le nostre preoccupazioni. Avevano forse deciso di portarla in Ospedale? Il nostro ritardo poteva averli orientati verso la soluzione che la paziente non voleva? A un certo punto fummo costrette a fermarci. L’auto non procedeva più in tutta quella neve e il rischio grosso era di perdere il controllo della guida finendo in qualche fossato o invadendo la corsia opposta. Trovammo quella che a noi pareva una specie di piazzola e aspettammo. Attesa interminabile. Quando i fiocchi cominciarono a diradarsi e la visibilità a migliorare ci accorgemmo di avere quasi di fronte a noi la stradina di campagna che stavamo cercando. Scendemmo a piedi con borse e borsoni. Lo zainetto con la scritta VITAS sulle spalle, e su verso la salita, con le nostre scarpette invernali che di certo non erano le più adatte al momento.
Trovammo la casa dopo qualche centinaio di metri. Quando la figlia della signora ci aprì la porta leggemmo nei suoi occhi un misto di spavento, incredulità e preoccupazione. Chi erano questi due pupazzi di neve con l’aria stravolta, carichi come muli, che giravano per la campagna con quel tempo da lupi? Poi tutto prese la piega che doveva prendere. I famigliari furono con noi straordinari. Si “presero cura di noi”, come noi poi avremmo fatto con la loro Pierina ( nome di fantasia). Ci fecero spogliare dei panni bagnati, ci fecero asciugare accanto alla stufa a legna, ci rifocillarono con caffè e crostata di mele, mentre la nostra vecchietta assisteva a tutto dal suo letto con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Poi ci fu molto tempo per inquadrare la situazione, provvedere ai bisogni immediati e programmare la strategia terapeutico-assistenziale futura. Tranquillizzammo la Pierina. Non sarebbe andata in Ospedale, sarebbe rimasta lì, in quella casa in cui era nata, così calda e accogliente, con la legna che scoppiettava nella stufa e il profumo di minestrone, il nipotino di pochi mesi che ci salutava dalla culla e una figlia amorevole a cui non pareva vero di poter assistere la sua mamma, con l’aiuto di personale competente, fino all’ultimo minuto. E la Pierina ci accarezzò e ci disse che noi eravamo state il suo “Gesù Bambino”. Non ricordo di preciso quanto tempo rimanemmo. So che a un certo punto il marito di Paoletta le telefonò preoccupato per chiedere se avevamo bisogno di aiuto e che lei, invece di rispondere “certo che ne abbiamo, vieni a prenderci!”, rispose giuliva “ assolutamente no! Siamo solo un po’ in ritardo”. Uscimmo da quella casa, dove saremmo tornate molte volte nei 2 mesi successivi, con una tale soddisfazione dentro di noi, che a malapena ci accorgemmo che la neve continuava a cadere anche se con molta più lentezza. Arrivate all’auto, sepolta da un cumulo bianco, ritornammo al mondo reale. Impossibile rimuovere la neve, impossibile entrare nell’abitacolo. Mentre Paoletta stava per chiedere aiuto telefonico al marito, sentimmo una voce dietro di noi. Era il genero della Pierina, sul trattore. Dopo che eravamo uscite, vedendoci caracollare mentre scendevamo dalla collina verso la strada statale, aveva immaginato che avremmo avuto delle difficoltà. Grazie a lui e al suo trattore, la Panda fu estratta dal cumulo di neve e noi potemmo fare ritorno a casa a pomeriggio inoltrato. Una intera giornata dedicata alla Pierina e alla sua famiglia a S. Stefano! Senza saperlo, quel giorno si era realizzato in poche ore un concentrato dell’essenza di VITAS. Ci eravamo prese cura della Pierina, l’avevamo messa al centro del nostro agire professionale, avevamo impostato un piano assistenziale che le avrebbe permesso di veder soddisfatto il suo intimo desiderio di trascorrere nella sua casa natale il tempo che le rimaneva, ci eravamo fatti degli amici ( che vengono a trovarci tutt’ora a distanza di 20 anni!). E, non ultima per importanza, da allora ogni S. Stefano a casa VITAS tutta l’equipe si gusta con piacere la meravigliosa crostata della nuora della Pierina, insieme al buon moscato che il genero, quello del trattore, produce ogni anno sempre più dolce e frizzante!
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